IL COMPAGNO ADULTO OLTRE L’ADOLESCENZA: VERSO LA CONQUISTA DELLA GIOVANE ADULTITÀ
Lavoro presentato ai Seminari teorico clinici Compagno Adulto Maggio 2022 della Cooperativa Rifornimento in volo
a cura di Alberto Codazzi e Maria Katiuscia Zerbi (1)
Fino a qualche anno fa l’intervento di Compagno adulto (2) veniva richiesto – dai Servizi sanitari o in forma privata dai genitori – per tutti quei ragazzi con difficoltà di rappresentazione e simbolizzazione, per i quali la possibilità di esprimersi attraverso l’uso della parola in un setting psicoterapeutico classicamente inteso risultava fortemente inibita ed inaccessibile.
La fascia d’età, in cui generalmente veniva attivato e si rivelava più efficace tale tipo di intervento, era compresa tra i 12 e i 17 anni; età in cui con maggiore frequenza, al momento della conclusione dell’infanzia e con l’avvento della pubertà, venivano alla luce problematiche che facevano intravedere un rischio evolutivo per via di una difficoltà legata allo sviluppo della personalità se non addirittura a conclamati breakdown da cui erano scaturiti ricoveri presso strutture ospedaliere della neuropsichiatria infantile. L’intervento si poneva perciò l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che avevano portato alla rottura psichica al fine di rimettere in moto una crescita quanto più possibile armoniosa grazie alle potenzialità e ai rimaneggiamenti adolescenziali.
Negli ultimi anni, l’indicazione dell’intervento di Compagno adulto è rimasta invariata rispetto alla funzione, alla fascia d’età e al tipo di psicopatologia a cui si rivolge; abbiamo tuttavia assistito al sommarsi di nuove richieste, differenti dalle precedenti, rispetto ad un duplice aspetto: da una parte l’espressione sintomatologica (ci troviamo sempre più spesso davanti a ragazzi con problematiche internalizzanti, ritirati, con aspetti ansioso-depressivi marcati e ideazioni suicidarie) e dall’altra l’età dove le richieste d’aiuto riguardano anche tardo adolescenti e giovani adulti.
Ciò porterebbe a pensare che tali psicopatologie, che si manifestano rimanendo lontane dall’ambiente esterno e quindi con una minore visibilità da parte degli adulti di riferimento, con una sintomatologia che si esprime in una forma meno problematicamente sollecitante riguardo gli aspetti della vita relazionale – pensiamo al venire meno di tutte quelle forme di disagio in cui adolescenti con disturbo del comportamento oppositivo o antisociale erano coinvolti in episodi di furto, spaccio, che compivano fughe da casa o esposti precocemente alla sessualità – abbia diluito i tempi di latenza rispetto alla possibilità di riconoscere e cogliere tempestivamente, se non addirittura prevenire, il disagio.
Tutto questo sembrerebbe far rimanere a lungo silenti alcune fragilità evolutive con il risultato di farle emergere con maggiore intensità più avanti negli anni (quindi verso la fine dell’adolescenza) esitando in domande d’aiuto per configurazioni di personalità in cui delle cose sono già accadute e sono più difficili da trasformare: spesso i giovani adulti che incontriamo sono ragazzi che hanno già avuto un ricovero, che hanno trascorso un tempo supplementare in una comunità terapeutica o in clinica, che assumono una terapia farmacologica e dove l’intervento viene richiesto al fine di ripopolare e rivitalizzare il mondo interno per consentire loro di ricucire quegli aspetti personali e relazionali che sono stati drammaticamente interrotti. Situazioni di questo tipo ci interrogano anche sulla necessità di rimodulare aspetti importanti della cura in funzione dei bisogni specifici di quella fase di sviluppo e degli obiettivi da raggiungere in quel determinato momento della loro vita.
Da qui siamo chiamati a dover rivedere e declinare secondo “criteri altri” gli elementi della tecnica, le riflessioni riguardo al modello teorico, l’assetto relazionale, nonché confrontarci con le necessità evolutive dei tardo adolescenti/giovani adulti che incontriamo.
Fermo restando la concettualizzazione di base secondo cui l’intervento di Compagno adulto rimane elettivo per quei ragazzi che non riescono ad utilizzare la parola, ci troviamo davanti a delle differenze rispetto al Compagno adulto “tradizionale”.
La più immediata è la maggiore prossimità anagrafica tra il Compagno adulto e il suo ragazzo/ragazza, da cui scaturiscono una serie di derivati.
Sappiamo che il ruolo del Compagno adulto è svolto da un giovane adulto, psicologo laureato in formazione e dello stesso sesso dell’adolescente. Tali caratteristiche sono state considerate in funzione della possibilità di facilitare la relazione con l’adolescente e di rimettere più agevolmente in gioco le vicissitudini interne: la scelta di un operatore più grande dell’adolescente ma anagraficamente non troppo distante da lui consente al ragazzo di potersi affidare in una relazione che possa esser sentita come vicina nelle sue possibilità di condivisione esperienziale. A ciò si aggiungono tutti i fattori legati al rispecchiamento narcisistico e al sentire che qualcuno “poco” prima di lui ce l’ha fatta a superare l’adolescenza sostenendo e incentivando il desiderio e la spinta evolutiva, in una continua tensione a nutrire quel gap che è sentito come fisiologicamente generazionale. D’altra parte il Compagno adulto stesso si trova in una condizione di vita in cui i giochi sono ancora aperti rispetto alla definizione del proprio Sé professionale e questo sembrerebbe aprire ad una maggiore autenticità relazionale con l’adolescente in un’alternanza di ingaggio tra investimento, rispecchiamento e rifornimento narcisistico.
Nel lavoro con i giovani adulti tutti quei fattori di per sé facilitanti sono rimessi in discussione in quanto mettono in evidenza anche l’altra parte della medaglia, quella legata al “ciò che manca”, al fallimento evolutivo, portando il Compagno adulto ed il gruppo di lavoro a muoversi sul filo laddove ciò che in altre fasce d’età favorisce qui potrebbe rappresentare un fattore di rischio se non ben modulato.
L’assottigliamento della differenza anagrafica potrebbe, perciò, esporre i giovani adulti che seguiamo a scoprire – e quindi a fare i conti – più apertamente con la ferita narcisistica: il rispecchiamento con un operatore vicino in termini di età potrebbe comportare un dolore rispetto a ciò che il ragazzo sente di non essere stato in grado, per via della condizione psicopatologica, di diventare. L’esigua differenza anagrafica rimarca il dislivello evolutivo, laddove le fantasie non si dirigono più verso una prospettiva futura circa il “come potrei diventare” ma vanno al presente e al passato, al come “sarei potuto essere”. Spesso assistiamo a due tipi di movimento: il presentarsi di sentimenti di invidia per il processo evolutivo dell’operatore o a sentimenti di compensazione, in cui il giovane adulto ci tiene a dare il suo contributo alla relazione rifornendo il rapporto di ciò che di buono è riuscito a costruire al fine di colmare il divario che sente.
Allo stesso tempo, se da una parte l’apertura al contatto potrebbe essere ancor più facilitata grazie alla prossimità dei temi di interesse, delle modalità espressive e più in generale di tutti gli aspetti comuni di una stessa generazione, dall’altra potrebbero essere in gioco – o acuirsi – anche altri aspetti come il rischio di una maggiore simmetria nella relazione (con tentativo di appianamento delle differenze) in quanto il Compagno adulto potrebbe essere percepito come un pari, come un amico con cui i confini della relazione e del setting – tanto protettivi della relazione quanto strutturanti per la formazione identitaria unitamente alla continuità del vedersi – potrebbero essere attaccati.
Il giovane adulto può quindi fare fantasie di fusionalità con il suo Compagno adulto, più facilmente che in altre condizioni, e può riconoscere con più difficoltà il limite intrinseco nella relazione d’aiuto e annullare con questo le distanze.
Tutti questi aspetti di rischio ci sembrano rappresentare contemporaneamente delle indicazioni puntualissime rispetto alla funzione dell’intervento: se queste dinamiche possono essere riconosciute, elaborate e tenute nella mente del Compagno adulto – al quale viene richiesto un monitoraggio controtransferale fittissimo – possono essere delle risorse fondamentali per ridefinire il punto del processo evolutivo in cui il giovane adulto si trova e far progredire la relazione aprendo a nuovi possibili modi di stare insieme, corrispettivi di alternative identificative strutturanti rispetto alla personalità.
In tal senso diviene ancora più importante l’utilizzo del gruppo di lavoro dei Compagni adulti che settimanalmente si ritrova a discutere sui casi in carico insieme ai Coordinatori, per riflettere sul senso di ciò che accade nella relazione con il giovane adulto e sullo spessore dei vissuti in gioco che spesso possono essere compressi o annullati dalla concretezza del ‘fare con’, ma anche per aiutare e sostenere l’operatore nell’intenso lavoro di scambio con il giovane adulto che segue. Un elemento che sembrerebbe assumere maggior rilievo è quello dell’alleanza con il Coordinatore, depositario di un metodo fortemente interiorizzato e rispetto al quale il Compagno adulto può sentirsi sostenuto nelle sue parti adulte ed evolute.
Abbiamo spesso assistito a sollecitazioni interne intense nel CA già al momento dell’assegnazione del caso: una sorta di delusione nel venire a scoprire che il caso a lui/lei assegnato non fosse quello di un primo adolescente. Questo forse potrebbe riguardare la delusione nel sentire che alcune partite sono concluse, che l’adolescenza con le sue potenzialità creative è passata e ci si trova davanti a quadri maggiormente compromessi che lasciano intravedere scenari in cui il disagio va arginato e la prospettiva è quella di un assestamento per lasciare spazio a ciò che può avvenire.
Allo stesso modo forse anche l’operatore potrebbe sentirsi personalmente sollecitato nelle stesse corde: quelle del limite, in cui se è vero che la giovane adultità rappresenta per tutti il momento delle scelte che vanno nella direzione di una maggiore definizione di sé questo è vero anche per l’operatore che si trova in un momento importante rispetto alla propria soggettivazione che inevitabilmente porta a lasciar fuori altre possibilità, ripresentando potentemente il tema del limite intrinseco utile e funzionale ad una piena realizzazione di sé.
Il lavoro di figurazione che si costruisce attraverso la condivisione e la continuità nel gruppo permette al Compagno adulto di dare voce e senso ai suoi vissuti e di dotarsi di una pensabilità tale da proteggere la relazione da simili rischi che il funzionamento del ragazzo/ragazza spesso alimenta.
La coesistenza nell’operatore tra l’immersione in questa reciprocità emozionale così vivida e la possibilità di distanziarsene grazie al lavoro di rappresentabilità viene garantita dalla dimensione del gruppo esterno, nella costanza del lavoro associativo settimanale sui propri e sugli altrui casi, e di quella interna, che si sviluppa progressivamente grazie all’interiorizzazione della prima.
La figura del Compagno adulto può rappresentare anche la sponda di una proiezione del Sé ideale per il giovane adulto che necessita di un consolidamento delle sue basi narcisistiche, prestandosi quindi come rappresentante di parti di sé da investire. Ciò non ha a che fare con un semplice rinforzo o supporto narcisistico, quanto piuttosto con la possibilità di mettere in gioco un investimento affettivo sull’oggetto riguardo al quale sentirsi simili ma non uguali. Attraverso di esso il giovane adulto può investire affettivamente le sue stesse aree psichiche, per lo più silenziate dal ricorso all’agito e alla dimensione più concreta dell’esperienza.
Inoltre, la vicinanza anagrafica può rendere più accessibile per il giovane adulto fare esperienza del Compagno adulto rispetto alla regolazione delle emozioni, tramite la condivisione di esperienze che appartengono all’universo generazionale di entrambi ma che possono godere di una maggiore pensabilità e capacità simbolica nell’operatore; in questa fascia d’età il lavoro terapeutico può contare su un’alleanza più esplicita, meno clandestina, che coinvolge il giovane adulto nella possibilità di condividere il progetto messo a punto per e con lui senza rischiare di farlo sentire troppo dipendente ma al contrario valorizzando le sue stesse parti adulte preservate integrandone di nuove.
La condivisione emozionale della coppia spesso cresce e arricchisce reciprocamente entrambi i componenti, pur nelle rispettive soggettività: la questione identitaria del giovane adulto può essere assimilabile alla trasformazione e allo sviluppo formativo del Compagno adulto che mette alla prova e fertilizza quote importanti del suo Sé professionale, che gli potranno rimanere in eredità anche in una futura e differente dimensione lavorativa.
2. Il Compagno adulto è un tipo di intervento domiciliare svolto da giovani psicologi in formazione e attivato per tutti quei ragazzi che non riescono ad utilizzare la parola come strumento per essere in relazione con l’Altro e per i quali si rivela non adatto un setting psicoterapico classico (vedi Compagno adulto – Nuove forme di alleanza terapeutica con gli adolescenti. A cura di S. Cordiale e G. Montinari, Franco Angeli 2012).